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Cosa sono le microplastiche

Spesso si sente parlare del problema, quasi sempre in riferimento ai mari e agli oceani. Ma cosa sono le microplastiche? Purtroppo anche le acque interne sono pesantemente contaminate dalla plastica a causa della cattiva gestione dei rifiuti e della scarsa qualità della depurazione fognaria i cui scarichi, ancora oggi troppo spesso, finiscono in acqua senza subire i trattamenti necessari.

Se la messa al bando dei cotton fioc non biodegradabili, dei sacchetti di plastica e delle microplastiche nei cosmetici è un ottimo segnale che pone l’Italia in posizione di avanguardia su questo tema, occorre intervenire anche sulla gestione dei rifiuti, così come è necessario avviare capillari iniziative di sensibilizzazione e di prevenzione per ridurre l’apporto di questi insidiosi inquinanti.

La presenza di frammenti di plastica è in aumento negli ecosistemi di tutto il mondo. A causa delle proprietà del materiale di origine, difficilmente si decompongono e per questo persistono a lungo nell’ambiente.

Cosa sono le microplastiche

Vengono definite microplastiche tutte le particelle le cui dimensioni sono comprese tra i 330 micrometri e i 5 millimetri.

Possono avere origine primaria (pellets da pre-produzione, fibre tessili o microsfere abrasive) o secondaria se derivano dalla disgregazione di rifiuti più grandi da parte degli agenti fisici.

Sono sempre più presenti nell’ambiente, disperse negli ecosistemi marini e terrestri ma si tratta di un inquinamento di difficile quantificazione e impossibile da rimuovere totalmente: è per questo che la conoscenza del problema e la prevenzione sono necessarie.

Sono stati condotti molti studi per definire cosa sono le microplastiche, quantificarne la presenza e la dispersione nell’ambiente marino (fin dagli anni ’70) ma solo negli ultimi anni sta crescendo la consapevolezza che anche le acque dolci non sono immuni da questo problema.

Trasportate da corsi d’acqua e scarichi, macro e microplastiche sono sempre più presenti anche nei laghi: un’altra minaccia a cui sono sottoposti questi sistemi semi chiusi, che potrebbero risentire maggiormente della presenza di rifiuti, ma soprattutto delle microparticelle che principalmente da questi si originano. Sull’incidenza delle microplastiche in ambiente lacustre sono ancora pochi gli studi, soprattutto in Italia.

Quando finisce in acqua, la plastica si discioglie in piccoli frammenti a causa di diversi processi chimici o fisici: dall’effetto dei raggi ultravioletti al vento, dalle onde ai microbi e alle alte temperature.

Proprio perché sono tanti gli elementi che concorrono al deterioramento, è difficile dire con precisione quanto tempo un singolo frammento impiega a diventare microplastica: a prolungarne il processo concorrono anche gli additivi chimici utilizzati durante la produzione che conferiscono ai materiali determinate caratteristiche, come gli antimicrobici o i ritardanti di fiamma che li rendono più resistenti ai raggi ultravioletti, fino all’impermeabilità.

Ma le microplastiche nei laghi possono essere anche un rifiuto primario, come nel caso di pellet da pre-produzione industriale, fibre tessili provenienti dalle lavatrici o microsfere utilizzate nella cosmesi.

Ecco le immagini della prima microplastica scovata durante il campionamento al Lago Trasimeno (PG). 

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Il monitoraggio delle microplastiche nei laghi è un lavoro inedito per moltissimi dei laghi monitorati dall’associazione ambientalista Legambiente, capofila di questo nostro progetto, e che proseguirà nei prossimi 4 anni proprio grazie al contributo di LIFE Blue Lakes.

Nel corso della prima edizione dei monitoraggi, nell’estate del 2016, Legambiente in collaborazione con Enea, l‘Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Arpa Umbria e alcuni circoli della Lega Navale Italiana, ha condotto uno studio durante la Goletta dei Laghi, che fornisce un quadro preliminare sulla presenza delle microplastiche nei principali laghi italiani.

Allora furono sei i laghi indagati: il Maggiore, l’Iseo e il Garda al nord e i laghi di Bolsena e Albano nel Lazio e il lago Trasimeno in Umbria.

QUI il primo studio effettuato da Legambiente ed ENEA in quella edizione del 2016.