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L’inquinamento da plastica peggiorerà dopo la pandemia da COVID-19?

Secondo uno studio effettuato dall’Istituto Superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra), il fabbisogno giornaliero di mascherine in Italia è di circa 37,5 milioni di pezzi e 80 milioni di guanti, che, tradotto in mole di rifiuti da smaltire, si traduce in 1.240 tonnellate al giorno. A fine anno solo per questi due dispositivi di protezione avremo buttato nell’immondizia quasi 300 mila tonnellate che, su indicazione dell’Istituto superiore di Sanità, vanno nella raccolta indifferenziata. Il calcolo effettuato da Ispra stima il peso medio delle mascherine (tra chirurgiche, Fp2 e Fp3) in 11 grammi ciascuna, per 410 tonnellate di spazzatura giornaliera. Lo stesso peso per una coppia di guanti, per 830 tonnellate di spazzatura al giorno. Una cifra enorme.

Nei due mesi di lockdown l’aumento è stato compensato dal calo dei rifiuti urbani prodotti dalle attività commerciali e produttive bloccate (-14%), ma con le riaperture progressive di negozi, bar, ristoranti e attività non sarà più così. A tutti i dispositivi di protezione individuale (DPI), come mascherine, guanti e camici monouso, s’aggiungeranno infatti anche tutti i prodotti difficilmente riciclabili che, dai take away dei bar ai mantelli dei parrucchieri fino alle visiere delle estetiste, sono in crescita vertiginosa per motivi di igiene e sicurezza. Il vero problema è che gran parte dei DPI utilizzati per proteggere gli operatori e i lavoratori – come guanti, mascherine, abiti, visiere protettive – vengono utilizzati solo una volta prima di essere gettati via, anche se al momento non esistono prove scientifiche del fatto che la plastica monouso sia migliore di quella riutilizzabile. Ecco che si pone il problema di come riuscire a smaltire questa enorme mole di plastica nel modo più sostenibile possibile.

L’economia circolare ci può salvare?

Richard Thompson, professore di biologia marina all’Università di Plymouth (il primo ad aver coniato il termine “microplastiche“), ha affermato che “i rifuti sono generati dal modo in cui smaltiamo i DPI e la plastica in generale. Data la crisi e l’immensa pressione che stiamo affrontando al momento, non dovremmo ritardare la consegna di dispositivi di protezione individuale a tutti, ma dovremmo invece insegnare e consigliare le persone su come smaltirli correttamente.” Thompson sostiene che la progettazione corretta dei prodotti porterebbe degli innegabili vantaggi nel riuscire a controllare la quantità di rifiuti nei nostri mari e nell’ecosistema. Questa è la filosofia alla base dell’economia circolare: creando oggetti che sono più facili da riciclare, se ne limita la dispersione nell’ambiente.

Prevenire invece che curare

“I paesi dovrebbero cercare di sviluppare prodotti realizzati con lo stesso polimero, che possiamo rintracciare e raccogliere in contenitori monouso sigillati, dove possono essere disinfettati e riciclati”, ha affermato Claudia Brunori, chimico dell’agenzia governativa italiana per le nuove tecnologie, energia e sviluppo economico sostenibile (ENEA). La creazione di DPI riutilizzabili, in cui viene mantenuta la struttura della maschera e viene gettato via solo il filtro avviene solo su piccola scala, a livello locale. Mentre manca una concreta azione coordinata a livello nazionale per prevenire l’ennesima catastrofe ambientale già annunciata.