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Plastica e ambiente

I detriti di plastica sono rifiuti di materiali polimerici creati dall’uomo, che sono stati deliberatamente o accidentalmente rilasciati nell’ambiente. Questi rifiuti possono essere di materiale estremamente vario, composto da molti polimeri diversi in diversi stati di alterazione atmosferica e di varie forme e dimensioni. 

In base alla sua dimensione, la plastica può essere classificata in: macroplastiche (> 25 mm), mesoplastiche (5–25 mm), microplastiche (<5 mm) e nanoplastiche (<0,1 μm). 

Esistono due modi di frammentazione delle plastiche in particelle più piccole una volta rilasciate nell’ambiente: abiotici e biotici. Questi processi possono avvenire  anche simultaneamente.

La degradazione abiotica è la degradazione meccanica della plastica attraverso il tempo e i cambiamenti climatici (ad esempio, congelamento, scongelamento, variazioni di pressione, turbolenza dell’acqua e danni causati dalle attività degli animali). Tuttavia, i legami molecolari della plastica non vengono influenzati; si verificano solo cambiamenti morfologici. 

La degradazione biotica è la degradazione risultante dall’attività degli organismi viventi. Questi organismi producono enzimi che scindono le catene polimeriche plastiche mediante processi idrolitici, con conseguente riduzione del peso molecolare. La perdita di peso molecolare innesca quindi un’ulteriore degradazione microbica, potenziata dall’esposizione all’acqua e all’ossigeno, che porta alla continua perdita della struttura della molecola nel tempo. La degradazione biotica della plastica si traduce infine in oligomeri e monomeri idrosolubili, che possono quindi mineralizzarsi ed essere assimilati come fonti di carbonio e azoto dai microrganismi. La mineralizzazione è appunto quel processo con il quale una sostanza organica, come un polimero, si converte in una sostanza inorganica, come l’anidride carbonica.

In accordo con la loro origine, le microplastiche sono classificate in due gruppi, microplastiche primarie e secondarie. Le nano e le microplastiche primarie sono pezzi microscopici di plastica che sono fabbricati appositamente mediante estrusione o macinazione per applicazioni specifiche, come precursori di altri prodotti (es. Pellet di plastica) o per uso diretto (es. Abrasivi nei prodotti cosmetici o per la pulizia o roto-fresatura). Le nano e le microplastiche secondarie sono quelle che si formano nell’ambiente dalla frammentazione di materiale plastico più grande in pezzi sempre più piccoli.

Negli ultimi 70 anni abbiamo favorito un crescente aumento della produzione mondiale di materie plastiche, che di conseguenza si è diffusa nell’ambiente a tal punto che possiamo dire di vivere in un mondo di plastica. Infatti, sappiamo benissimo che nel mondo sono presenti ben 5 “isole di plastica” oltre alla più famosa Great Pacific Garbage Patch, che si trovano nell’Oceano Indiano, nel Nord Atlantico, nel Sud Pacifico, nel Sud Atlantico e nel Mar Mediterraneo. Queste isole minacciano gravemente i nostri oceani, e si stima che entro il 2050 nelle acque oceaniche ci sarà tanta plastica quanti pesci. 

Inoltre questi polimeri sintetici non sono solo essi stessi inquinanti ambientali,  agiscono anche come vettori di trasporto di vari tipi di sostanze chimiche e nocive per gli ecosistemi. 

Le plastiche sono anche considerate indicatori del periodo recente e contemporaneo. Al giorno d’oggi, le particelle di microplastica sono state rilevate ovunque in un’ampia gamma di forme, polimeri, dimensioni e concentrazioni negli ambienti di acqua marina, acqua dolce, agroecosistemi, atmosfera, cibo e acqua potabile. Possono essere sottili come piccoli veli ed essere portati via dal vento, oppure possono essere duri e compatti come rocce.

La loro distribuzione mondiale è così vasta che molti scienziati la usano come indicatore geologico chiave dell’Antropocene (epoca geologica proposta a succedere l’Holocene, nella quale l’essere umano con le sue attività è riuscito con modifiche territoriali, strutturali e climatiche ad incidere su processi geologici). Le materie plastiche possono essere utilizzate come marker stratigrafici in campo archeologico e di recente sono stati utilizzati come precisi indicatori di depositi di terra.

L’Unione europea è da tempo in prima linea nella sostenibilità ambientale e nella riduzione dell’inquinamento da plastica. Un modello di economia circolare, implementato nell’UE nel 2018, stabilisce che tutti i prodotti in plastica saranno progettati per una maggiore durata, riutilizzo e riciclaggio efficace e che tutti i materiali di imballaggio all’interno del mercato dell’UE saranno riutilizzabili e / o riciclabili entro il 2030. La Commissione europea ha richiesto che le industrie coinvolte nella produzione o nel riciclaggio della plastica presentino “una serie ambiziosa e concreta di impegni volontari per sostenere la strategia e la sua visione per il 2030”. In altre parole, spetta ai progettisti e ai produttori produrre prodotti in plastica riutilizzabili e riciclabili per i consumatori ed eliminare il loro attuale modello di business di plastica monouso. Nel frattempo però, senza una rigida regolamentazione nei confronti di queste aziende, che le obblighi a cambiare gradualmente le loro produzioni e a convertirsi in filiere della plastica (o ancora meglio, di altri materiali più naturali) biodegradabili, si sta solo temporeggiando, è solo un modo per prendere tempo – che non c’è – e allontanare sempre di più quella scadenza “scomoda” per continuare a fare “business as usual” a scapito del pianeta. 

Non sono solo le istituzioni a dover affrontare questo problema. C’è anche molto che tutti noi possiamo fare per aiutare a ridurre l’uso delle plastiche, pensando non solo all’ambiente ma anche alla nostra salute, perché è indispensabile vivere in un ambiente pulito e sano, per avere una vita altrettanto sana. Quello che possiamo fare tutti è diventare consumatori consapevoli e più esigenti: una cosa molto semplice da cui partire è cercare di fare acquisti e scelte ragionate nella nostra vita di tutti i giorni; ad esempio, è importante fermarsi un minuto in più a riflettere su quello che sto per mettere nel carrello quando c’è la possibilità di scegliere, per uno stesso prodotto, tra una confezione in plastica e una in carta/tetrapak/vetro o altro, optare per quella che contiene meno plastica possibile. Daremo così un messaggio alle aziende produttrici, che vedendo aumentare gli acquisti di una certa tipologia di prodotto, tenderanno ad aumentarne l’offerta. 

Fonti:

A SCIENTIFIC PERSPECTIVE ON MICRO-PLASTICS IN NATURE AND SOCIETY. “Science Advice for Policy by European Academies” (SAPEA). SAPEAc/o acatechPariser Platz 4a 10117 Berlin | Germany (2019)

Marine Anthropogenic Litter. Melanie Bergmann, Lars Gutow, Michael Klages Editors. University of Gothemburg. Chapter 9: Sources and Pathways of Microplastics to Habitats. Mark A. Browne (2015)

Microplastics and Nanoplastics in the Freshwater and Terrestrial Environment: A Review. Kellie Boyle and Banu Örmeci. Water 2020, 12, 2633

A Detailed Review Study on Potential Effects of Microplastics and Additives of Concern on Human Health. Claudia Campanale, Carmine Massarelli, Ilaria Savino, Vito Locaputo and Vito Felice Uricchio. Int. J. Environ. Res. Public Health 2020, 17, 1212;

Plastice, Innovative value chain development for sustainable plastics in central Europe, Polimeri e plastiche biodegradabili, Andrej Kržan, Maggio 2012

L’EcoPost, Isola di plastica. Cos’è? Dov’è? Come si forma?, Carlo Piccillo, 18 Settembre 2020